Petrarca, riassunto dal mio libro di testo

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BELLA.93
view post Posted on 22/4/2010, 23:19




Francesco Petrarca
La vita (da pag. 386 a 389)
Petrarca nacque ad Arezzo il 20 luglio 1304, da una famiglia di condizione borghese. Nel 1312 Petracco, il padre notaio, si trasferì con la famiglia ad Avignone, dove risiedeva la Curia papale. Francesco a sedici anni intraprese studi giuridici a Bologna, ma nel 1326 senza terminare i corsi tornò ad Avignone.
La lingua in cui pensava e scriveva era il latino, ma coltivava anche la lirica volgare. Seguendo il modello dei poeti d’amore raccogliere tutti i motivi della sua poesia intorno ad un’unica immagine femminile, Laura. Alla base della lirica del Canzoniere vi è una esperienza reale.
Petrarca sentiva l’esigenza della sicurezza materiale, prese perciò gli ordini minori. A questo bisogno si aggiungeva anche la curiosità di conoscere che lo spingeva a viaggiare. A queste irrequietudini che lo spingeva ad esplorare continuamente il mondo esteriore si contrapponeva il bisogno di chiedersi nell’interiorità, di approfondire la conoscenza di sé, quindi si ritirò a Valchiusa, poco lontano da Avignone. Petrarca amava rifugiarsi lontano dalle preoccupazioni quotidiane dedicandosi alla lettura dei classici, alla scrittura, alla meditazione. Da questo ozio nacque gran parte delle sue opere, sia in latino sia in volgare. Valchiusa divenne per Petrarca il simbolo di un’attività spirituale indipendente. Tuttavia l’attività letteraria per Petrarca non era solo ozio, vi era in lui un prepotente bisogno di gloria, di riconoscimenti, di onori. Ottenne un’incoronazione a Roma nel 1341 sul Campidoglio. Petrarca ebbe una crisi religiosa che si tradusse in un tortuoso processo interiore.
Il suo esercizio letterario è anche strumento di impegno politico e civile. Petrarca sente i grandi problemi del suo tempo. Egli usa il suo prestigio per perorare il ritorno del papa a Roma, per bollare la corruzione della Curia avignonese ed incitare la Chiesa a recuperare la sua purezza originaria; rivolge appelli all’imperatore Carlo IV di Boemia perché scenda in Italia a ristabilire l’autorità imperiale. Petrarca partecipa ad ambascerie e missioni diplomatiche e si entusiasma per il tentativo politico di Cola di Rienzo, che restaura la repubblica nella Roma abbandonata dal papa. Petrarca invia varie lettere a Cola, per esortarlo a preseverare e indicargli la via da seguire. Nel 1347 subisce l’insofferenza per la corruzione della Curia, lascia Avignone e si stabilisce a Venezia, Milano e Arquà dove trascorse gli ultimi anni di vita; morì fra il 18 e 19 luglio del 1374.
Petrarca come nuova figura di intellettuale. 390..394
L’intellettuale cosmopolita, il cortigiano, il chierico. Petrarca rappresenta una figura intellettuale nuova rispetto agli scrittori del Duecento e a Dante, lui è un intellettuale cortigiano e cosmopolita senza radici in una tradizione municipale. Petrarca vedenell’Italia in un ideale nazionale e accetta la nuova istituzione della signoria affermatasi.
L’Humanitas. La letteratura viene considerata come la più alta manifestazione dello spirito umano, l’attività in cui si compendia l’essenza stessa dell’umanità, l’humanitas. Petrarca ostenta disprezzo per un sapere puramente tecnico e scientifico, per le “arti meccaniche”; le lettere sono utili e costruttive, poiché riconducono alla meditazione e alla riflessione interiore e perché portano alla vera conoscenza di sé e confortano l’animo. Per Petrarca il poeta è il sacerdote di un vero e proprio culto, ed ha il potere di consacrare all’immortalità se stesso e coloro di cui tratta.
Le opere religioso-morali.
Il modello di Agostino. La maggior parte dell’opera di Petrarca è in latino, mentre in volgare scrisse solo il Canzoniere e i Trionfi. La produzione latina può essere suddivisa in due gruppi di opere, quelle religioso-morali e quelle “umanistiche”.
Petrarca esprime il suo profondo fastidio per la filosofia scolastica. Per lui la vera filosofia è quella che mira a comprendere l’uomo, a esplorare la sua interiorità per insegnargli a sopportare le miserie della sua esistenza e indicargli la via dell’autentica felicità e della salvezza.
Dante poneva alla base della sua visione del mondo la filosofia scolastico-aristotelica. Petrarca rinuncia ad affrontare il mondo esterno nella sua concretezza e nella molteplicità dei suoi aspetti e si rinchiude esclusivamente alla contemplazione del proprio io, nell’analisi delle proprie inquietudini e delle proprie contraddizioni interiori.
Il Secretum. Il secretum fu scritto probabilmente tra il ’42 e il ’43, all’epoca in cui aveva toccato il culmine la crisi religiosa del poeta, ma ripreso e rimaneggiato successivamente, forse nel 1353. L’opera è divisa in 3 libri ed è strutturata come un Dialogo tra Francesco e Agostino (santo e filosofo che Petrarca considerava la sua guida spirituale). Il dialogo si svolge in 3 giorni alla presenza di una donna bellissima, che non prende mai la parola. Nel dialogo lo scrittore si sdoppia in due personaggi, entrambi proiezioni della sua interiorità inquieta e lacerata, Agostino rappresenta la coscienza, che fruga nell’animo di Francesco, per portare alla luce la verità; Francesco rappresenta la fragilità del peccatore, disposto a imparare ma anche riluttante a staccarsi dalle lusinghe mondane e dai beni che gli sono più cari.
Nel primo libro Agostino rimprovera a Francesco la debolezza della volontà, che gli impedisce di tradurre in atto le sue aspirazioni ad una vita più pura e virtuosa.
Nel secondo libro passa in rassegna i sette peccati capitali e si sofferma su quello che affligge Francesco, l’accidia e getta l’animo in una tristezza perenne.
Due colpe più gravi, esaminate nel terzo libro: il desiderio di gloria terrena, che distoglie il pensiero dalle cose eterne, e l’amore per Laura. Per Francesco si tratta di inclinazioni innocenti, mentre per Agostino sono le più basse passioni. In particolare Francesco si inganna nel ritenere che l’amore per Laura sia stato spirituale e fonte di virtù; al contrario, dimostra Agostino, da esso ha avuto inizio la sua degradazione morale.
Il dialogo è pervaso da un bisogno di raggiungere, la pace interiore. Francesco non giunge ad un saldo proposito di cambiar vita; riconosce che non può vincere la sua natura. A differenza del suo maestro Agostino, che nelle Confessioni ha delineato il passaggio dal peccato alla purificazione. Petrarca è l’uomo della crisi. Tale crisi assume un significato storico. Età di trapasso, che vede il disgregarsi della spiritualità medievale ma è ancora lontana dall’assestarsi entro i confini di una civiltà nuova, quello umanistico - rinascimentale. Il latino del Secretum è strutturato sintatticamente sull’esempio dei classici. La fede nei valori della cultura classica gli consente una forma di superamento del dissidio e gli fornisce un centro stabile, intorno a cui organizzare le forze disperse del suo animo.
Altre opere religioso-morali. Tendenza alla conciliazione tra cultura classica e spiritualità cristiana è confermata dalle altre opere religioso-morali di Petrarca. Ad esempio il De vita solitaria (la vita solitaria)scritto nel 1246, pochi anni dopo il Secretum, esalta la solitudine, che è un tema caro all’ascetismo cristiano, ma per Petrarca essa deve essere qualche cosa di diverso dalla rigida solitudine dei monaci e degli eremiti: deve essere rallegrata dalle bellezze della natura, dalla conversazione con pochi ed eletti amici, ma soprattutto dalla presenza dei libri. La solitudine può essere fonte di purificazione interiore mediante la meditazione e la preghiera, ma anche di elevazione dell’animo mediante lo studio dei classici e l’esercizio della poesia. In questa esaltazione della solitudine occupata dall’esercizio letterario, si conciliano così l’ideale cristiano della rinuncia al mondo e quello classico dell’otium letterario, cioè di un distacco da ogni attività pratica per un impegno totale nella cultura dello spirito. Petrarca, consapevole che per lui l’ideale assoluto di un’eroica ascesi è irraggiungibile, ripiega verso un ideale modesto, la vita non contraddice la religione, perché l’attività intellettuale è un modo per migliorare se stessi, e non distoglie dalla perfezione cristiana. Per queste posizioni di Petrarca si è parlato di un umanesimo cristiano.
Il Canzoniere. 412… 416
Petrarca e il volgare. La maggior parte dell’opera petrarchesca è scritta in latino. In volgare sono solo le liriche del Canzoniere e un poema allegorico. Egli riteneva di essere il continuatore degli autori classici, colui che riportava in vita il gusto del bello e la magnanimità di sentire che erano stati propri della civiltà latina, e per questo si proponeva di emulare gli antichi scrivendo poemi epici come Virgilio, storie come Livio, epistole come Cicerone. Egli era convinto che la letteratura latina avesse toccato un culmine di perfezione che non poteva più essere superato, e quindi doveva imitare gli antichi, riprodurre i loro temi e le loro forme. È convinto che la lingua per eccellenza della letteratura fosse il latino, Petrarca voleva dimostrare che era possibile far poesia di livello alto anche in volgare. Nell’età successiva, quella del pieno Umanesimo e quella rinascimentale, si avrà in un primo tempo una rinascita ed un predominio del latino, poi si affermerà una letteratura in lingua volgare modellata sui classici. Con Petrarca si ha un percorso per così dire all’inverso, in quanto il latino riconquista la sua supremazia. Il latino petrarchesco non è più il latino medievale, bensì una lingua che mira a riprodurre l’idioma letterario antico in tutta la sua purezza.
La formazione del Canzoniere. Petrarca cominciò a scrivere versi in volgare sin dalla prima giovinezza, probabilmente quando era a Bologna a seguire i corsi di diritto, e continuò sino agli ultimi anni di vita. Gli studiosi sono riusciti a ricostruire ben nove redazioni successive della raccolta. La sistemazione definitiva risale proprio all’ ultimo anno di vita del poeta, il 1374, ed è contenuta nel manoscritto Vaticano 3195. Il titolo che Petrarca pone sul manoscritto definitivo è Rerum vulgarium fragmenta (frammento di cose in volgare). Esso è costituito da 366 componimenti, in massima parte sonetti (317), ma anche canzoni, ballate, sestine, tutte le forme metriche consacrate della tradizione lirica precedente, dai trovatori provenzali ai rinoma tori siciliani agli stilnovisti.
L’amore per Laura. Il tema del Canzoniere è costituito dall’amore del poeta per una donna, chiamata Laura, incontrata “il sesto di Aprile”, venerdì santo, in una chiesa di Avignone. Nel libro si percorre il diagramma di una passione tutta umana e terrena, che non esclude l’aspetto sensuale. È un amore perpetuamente inappagato e tormentato. Gli stati d’animo rappresentanti dalla poesia riflettono un continuo oscillare tra poli opposti, senza mai una risoluzione definitiva: egli gioca simbolicamente con il nome di Laura: “lauro” poetico (cosiddette rime “dafnee”, poiché Dafne, amata da Apollo, si era trasformata in alloro); l’immagine della donna, creata dal sogno (poiché Laura è sempre lontana, “altrove”, nello spazio o nel tempo); lamenta la sua crudeltà e indifferenza, paragonandola ad una “fera bella e mansueta”, e invoca pietà per le proprie sofferenze. Questa vicenda ha una svolta con la morte della donna (1348). In tal modo il Canzoniere risulta nettamente diviso in due parti, le “rime in vita” e le “rime in morte” di Laura.
Alla morte della donna amata il mondo sembra improvvisamente scolorire, farsi vuoto e squallido. Ma non per questo la passione si estingue. Crede ancora di vedere Laura come se fosse viva nei luoghi consueti. Nel segno Laura appare “più bella e meno altera”, più mite e compassionevole verso le sue sofferenze. Ma dopo il lungo “vaneggiare” il poeta sente il peso del peccato e il desiderio di una purificazione. La morte appare come un “dubbioso passo”, pieno di insidie e di pericoli. Il libro, si conclude con una canzone di preghiera alla Vergine, in cui il poeta esprime un intenso desiderio di superare ogni conflitto, di trovare finalmente la pace. E “pace” è l’ultima parola della canzone, che chiude e suggella il libro.
La figura di Laura. Se nel Canzoniere si delinea una vicenda, essa non è identificabile immediatamente con l’esperienza vissuta dal poeta, ma va considerata come una trasfigurazione letteraria, come una costruzione ideale, che segue determinanti codici, e quindi allontana e sfuma la realtà da cui prende le mosse.
Laura è molto più umana delle remote e inattingibili immagini femminili degli stilnovisti e di Dante , poiché rientra in una dimensione psicologica più viva e mossa, più vicina all’esperienza comune, e poiché è inserita nella dimensione del tempo, sottoposta alla sua azione disgregatrice. Tuttavia è ben lontana dell’avere la concretezza corposa di un personaggio reale. Compaiono spesso nel Canzoniere notazioni riferite alla sua bellezza fisica: “capei d’oro” “vago lume” dei “begli occhi”, “dolce riso”, “rose vermiglie” delle labbra, “neve” del viso, il collo “ov’ogni della gonna”, “bel fianco”, “bel piè”, “atti soavemente alteri”, “andar” che non è “cosa mortale, ma d’angelica forma”. L’immagine complessiva di Laura è il vago profilo di una bella donna bionda, che si staglia di regola su un ridente sfondo naturale.
Il paesaggio e le situazioni della vicenda amorosa. Il paesaggio risulta da elementi estremamente stilizzati: erbe, fiori, fronde, monti, selve, acque limpide, cieli sereni, tutti gli elementi che compongono l’immagine del locus amoenus (luogo ameno) consacrata da una lunga tradizione, che risale ai poeti classici e giunge sino ai trovatori e agli stilnovisti. Apparizioni di Laura, smarrimenti del poeta, sogni e fantasticherie, passeggiate solitarie, notti insonni, lacrime sono tutte situazioni codificate dalla lirica amorosa precedente, dalla Provenza alla Toscana stilnovistica. Nel Canzoniere non si compone una trama di eventi esteriori. Il mondo della storia contemporanea con i suoi conflitti è quasi assente nella poesia del Canzoniere, quel mondo che nella Commedia invece si poneva con violenta immediatezza. Leggendo il canzoniere si ha l’impressione che la realtà esterna non esista, o che l’unica autentica realtà sia l’interiorità del poeta.
Il dissidio petrarchesco (pag. 416 a 419) La poesia di Petrarca va letta come lucida analisi della coscienza. La tormentata esperienza d’amore è assunta come simbolo di un’esperienza sentimentale, intellettuale e religiosa insieme. Il tema amoroso per il poeta è l’esame dei suoi sentimenti oscillanti e contraddittori e delle sue preoccupazioni morali e religiose, la vergogna per la debolezza del volere e la schiavitù del peccato. Nel Canzoniere si impone in piena evidenzia quel dissidio interiore che era stato così acutamente analizzato nel Secretum. Cioè che caratterizza la spiritualità di Petrarca è un bisogno di assoluto, di eterno, di un approdo stabile in cui l’animo trovi una pace perfetta. Tutti i piaceri e le gioie che gli uomini inseguono, sono illusioni effimere, destinate a dissolversi con la realtà, con la morte. Anche l’amore è un sogno, che la realtà delude. Nella poesia petrarchesca risuona spesso il disprezzo del mondo. Da questa delusione deriva al poeta una continua inquietudine. Nel Secretum affermava “sento qualcosa di insoddisfatto nel mio cuore, sempre”, era deluso dalla vita terrena, stanco sotto il peccato che grava su di lui, vorrebbe condurre una vita assolutamente pura. La vicenda del Canzoniere si basa sulla liberazione dalle impurità umane e sull’innalzazione di Dio, trovando in lui la pace e la salvezza. il Canzoniere è distinto dalla Commedia dantesca perché Petrarca lo compone quando è ancora immerso nelle acque tempestose. Il dissidio di Petrarca è il sogno impossibile di una conciliazione tra terra e cielo, che dia pieno valore alle cose umane. Il Canzoniere, come il Secretum, riflette non solo una crisi individuale ma la crisi di un’epoca: la conciliazione tra umano e divino sarà invece il grande sogno filosofico del Rinascimento.
Il superamento dei conflitti nella forma La poesia petrarchesca è un groviglio di contraddizioni e di inquietudini senza soluzione. Petrarca ha un concetto del decoro e della disciplina formali ed è colmo di ammirazione per i classici antichi, quindi i sentimenti del poeta si esprimono sempre attraverso formule, cadenze, immagini consacrate dalla letteratura antica. Nel Canzoniere è possibile riconoscere citazioni, soluzioni stilistiche tratte da altri poeti (stilnovisti, Dante, trovatori, Siciliani, scrittori cristiani e autori latini). Perciò il modo interiore di Petrarca, al momento di esprimersi, ricorre naturalmente alle reminescenze letterarie.
Classicismo formale e crisi interiore Petrarca esclude ogni aspetto concreto o umile della vita quotidiana. Per lui l’unica realtà, di cui si può dare autentica conoscenza, è l’interiorità. Il mondo della natura, la stessa bellezza fisica della donna amata sono così rarefatti, assottigliati, privati di ogni urgenza materiale e di ogni carattere troppo concretamente particolare. Il classicismo formale di Petrarca, che si manifesta come selezione e idealizzazione del reale, viene così ad essere la diretta conseguenza della sua crisi spirituale, della sua impossibilità ad attingere a definitive certezze.
Lingua e stile del Canzoniere Questo diverso modo di accostarsi al reale si riflette inevitabilmente sulla lingua e sullo stile. La rigorosa selezione a cui Petrarca sottopone il reale, si traduce in una lingua che impiega un numero ristrettissimo di vocaboli. Petrarca rifiuta ogni parola troppo corposa e precisa, troppo realistica ed espressiva ed evita ogni scontro violento tra livelli stilistici. Lo stile petrarchesco è detto “unilinguismo”, cioè nessuna parola spicca mai, esso tende piuttosto a creare un tono medio, un’armonia d’insieme in cui nessun particolare predomini. La fisionomia complessiva del capolavoro petrarchesco risulta da un lato l’inquieta e tormentata visione di un’epoca di crisi e di trapasso della civiltà; dall’altro un gusto poetico eminentemente classicistico.
 
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